Alla fine l’ho fatto.
Sono seduto sulla scalinata del Sacro Cuore, a Parigi.
Tra la folla, con le cuffie che suonano le mie canzoni preferite e il mio Mac sulle ginocchia.
Alla fine sono partito da solo.
Uscendo dalla mia comfort zone.
Ribellandomi a quello stigma sociale che accompagna chi fa le cose da solo.
Mangiare al ristorante, andare al cinema, viaggiare.
Sono tutte attività fatte per essere fatte almeno in due.
E allora si cerca di incastrare le agende.
Ma poi un amico lavora, l’altro è fidanzato e l’altra vive all’estero.
Per fare una vacanza insieme bisogna deciderlo mesi prima e sperare che non ci siano imprevisti.
Allora decidi di accontentarti.
Di scendere a compromessi.
Magari di partire con qualcuno che conosci poco.
Ma se quello che ti lascia in bocca è un retrogusto dolceamaro, forse non è la soluzione giusta.
Ho quasi 36 anni.
Sono single da quasi 10 anni – se escludiamo una sorta di relazione di un anno e qualche mese in cui non c’era nemmeno accordo sul fatto che fosse effettivamente una relazione.
Ho pochi amici.
Non frequento persone che non mi piacciono a 360° e ho detto basta a quelle persone con cui ho un’enorme affinità solo quando ho in corpo una decina di vodka lemon.
Che poi sono certo che potrei avere affinità anche con un omofobo di Casa Pound in quelle condizioni – no, ok forse sto esagerando.
Mi sono stancato di aspettare qualcuno per fare quello che mi piace.
Ho deciso di mettermi alla prova.
Ho deciso di viaggiare da solo.
Io, che ho paura anche della mia ombra.
Io, che ho più idiosincrasie che peli sul petto.
Io, che sogno di fare le cose in due da quando ho memoria.
Ho deciso di mettermi alla prova.
Di sfidare le occhiate delle persone nei ristoranti, quando chiedo un tavolo solo per me.
Di sfidare la paura di camminare la sera da solo.
Di sfidare la convenzione sociale per la quale devi essere in due per fare alcune cose, tra cui viaggiare.
Ho deciso di smettere di aspettare che ci sia qualcuno nella mia vita.
Ho deciso di smettere di pensare che sarò completo solo quando riuscirò finalmente a fare la navata di una chiesa (evidentemente sconsacrata) con l’uomo dei miei sogni che si sarà materializzato magicamente.
Ho deciso di smettere di farmi sfuggire la vita perché non c’è il contesto giusto.
Sono single.
Magari lo potrei essere a lungo.
Magari potrei esserlo per sempre.
Gli amici, dopo i 30, hanno una vita più personale.
C’è un momento in cui ci si evolve: se tra i 20 e i 30 gli amici sono come una carbonara quando sei in fame chimica – più ce n’è, meglio è – dopo i 30, gli amici diventano uno splendido e gustosissimo dessert che rende la tua vita migliore.
Non sto qui a dire che essere single è la cosa più bella del mondo.
Mentirei.
Perché la navata non credo che smetterò mai di sognarla – maledetta educazione cattolica.
Sono qui a dire che sono fiero di aver preso coraggio, nonostante le convenzioni e nonostante le mie insicurezze.
Perché il senso di libertà che mi riempie il cuore e la mente in questo momento è impagabile.
Sono qui a dire che si può essere pienamente realizzati, senza che questo venga da una posizione lavorativa di successo, da una relazione o da amici iper-presenti.
Non voglio più avere paura di fare le cose da solo.
Non voglio più avere lo stesso affanno che ho dopo 30 minuti sul tapis roulant per sentirmi realizzato.
Voglio vivere ogni fottuto istante per la mia soddisfazione, per la mia evoluzione e per la mia realizzazione.
Voglio provarci davvero.
A chi, come me, sta aspettando che qualcosa accada, vorrei dire che non c’è un cazzo da aspettare.
Aprite le finestre. Uscite. Andate al cinema.
Fate le valigie e partire.
Se ci sono riuscito io, vi assicuro che possiamo farlo tutti.
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